La ricerca della trasparenza inizia nei primi anni del Novecento con l’architettura in vetro di Bruno Taut e Paul Sheerbart, non riscuotendo però un grosso successo a causa delle difficoltà di lavorazione e della scarsa qualità dei prodotti in vetro di quel tempo.
Il livello tecnologico raggiunto in questi ultimi venti anni nella produzione e trasformazione dei manufatti di vetro, ha consentito l’impiego di questo materiale non più come semplice elemento di chiusura o avente funzioni statiche secondarie, ma anche per tutti quegli elementi primari deputati alla stabilità complessiva del manufatto architettonico. L’esaltazione della trasparenza ha portato alla progressiva smaterializzazione dell’ossatura di sostegno. È stata definita in modo più compiuto la correlazione tra uomo e habitat esterno liberando completamente la visione e il passaggio della luce.
Sono state realizzate, in Germania, Inghilterra e Francia, costruzioni con travi, pilastri e controventi in vetro capaci di resistere agli stessi carichi adottati per le costruzioni comuni. L’originale lama di vetro delle facciate tipo Pilkington si è così irrobustita fino a diventare una trave portante, la canonica lastra di vetro, grazie ai nuovi processi di tempera, è diventata un piano di calpestio capace di resistere a folle compatte, si è passati dalle prime vetrate strutturali di Peter Rice della Serre de La Villette a strutture compiute come la pensilina Yurakucho di Mcfarlane o il centro espositivo di Rheinbach progettato da Ludwig & Weiler.
Nonostante tutta l’odierna conoscenza scientifica e tecnologica si è ancora trattenuti da incertezze progettuali e timori di fallimenti , essenzialmente a causa delle caratteristiche meccaniche del vetro: esso infatti è, a temperatura ambiente, un materiale elastico lineare fino a rottura ma al tempo stesso possiede una bassa “tenacità” indice della propensione alla propagazione delle fessure. La prima proprietà implica l’incapacità totale del vetro di plasticizzarsi localmente laddove si presenta una concentrazione degli sforzi, la seconda implica un’alta sensibilità del materiale alle imperfezioni e alle microfessure superficiali.
Tale comportamento ha portato ad un ripensamento e ad una revisione dei consueti metodi di progettazione strutturale, adottandone alcuni sviluppati per altre discipline come, ad esempio il “fail safe” in campo aeronautico. L’accettazione del collasso di un elemento strutturale senza che questo pregiudichi la stabilità globale, comporta l’estensione dell’analisi strutturale oltre la fase puramente elastica dell’intera costruzione, accettando l’idea che qualche elemento possa raggiungere il collasso e controllando che questo non comporti un fenomeno di rottura, tipo “domino”, dell’intero sistema strutturale. In una facciata strutturale, ad esempio, è già oggi necessario valutare in modo sistematico l’effetto che ha la rottura di un pannello sul comportamento globale.
Tali metodi progettuali sono più legati ad aspetti macroscopici e ad una conoscenza globale della struttura, piuttosto che ad una verifica locale di uno stato tensionale difficilmente simulabile attraverso modelli matematici che descrivano compiutamente il comportamento del materiale. L'architettura trasparente rimane quindi un settore ancora ai limite del possibile e numerosi risultano i quesiti ancora aperti. Ci troviamo in definitiva di fronte a quelle problematiche tecniche implicite nell'uso di un nuovo materiale da costruzione. La ricerca, in questo senso, è l'unica risorsa veramente perseguibile per creare quel background scientifico necessario per una corretta progettazione.
L. Lani